ROMOLO MURRI
1904
Al Lettore,
Non senza trepidazione mi decido a pubblicare queste lettere sulla cultura del clero. Esse furono pubblicate da principio, in forma quasi rudimentale, nella Cultura sociale del 1898 e destarono larghi e vari commenti: erano pronte per apparire in volume nell'ottobre di quello stesso anno, ma parecchie autorevoli persone, delle quali chiesi il consiglio, mi suggerirono di ritardarne di qualche tempo la pubblicazione.
E così solo poche di esse videro la luce una seconda volta, sulla fine dell'anno, in forma di supplemento all'ultimo numero della Cultura, e furono distribuite privatamente agli amici.
Ma da allora non venne quasi mai meno la preghiera insistente di molti perchè io le pubblicassi intiere; e qualche altro articolo su questo stesso argomento pubblicato nella Cultura sociale, e che ora riapparisce nelle pagine di altri volumi, mostrò col largo consentimento che esso ebbe come la questione era sempre viva e vitale.
Così oggi io mi decido a ripubblicare queste lettere, quali erano pronte nell'ottobre 1898, con pochissime mutazioni e poche aggiunte; lo stato degli animi ed i precedenti che suggerirono allora il ritardo sono passati, ed è più facile oggi che una chiara e serena parola su d'un argomento così grave sia letta e ascoltata.
Poiché, nei due anni che hanno seguito la prima pubblicazione di queste lettere, le idee buone han fatto la loro strada ed oggi è minore il pericolo di esprimersi male e maggiore la speranza d'essere intesi. Anzi può dirsi che in qualche modo il nuovo programma di cultura e di azione sia già penetrato nei fatti e vi cominci la sua via: così rapido e volonteroso è stato l'orientamento degli animi meglio preparati verso di esso.
Sicché io penso anche di risparmiare al lettore la lunga prefazione polemica ed esplicativa che era pronta due anni addietro ad accompagnare queste pagine, contentandomi di stralciarne qui solo il brano seguente:
“ ...Ed anche per un'altra ragione io son rimasto nel campo sereno di una ricerca intellettuale e generica, quasi che avessi dovuto scrivere per estranei una pagina di critica storica dell'Italia contemporanea: per mostrare, come è, anche ai meno vogliosi di intenderlo, che al mio studio è perfettamente estraneo qualunque giudizio pratico ed oggettivo che potesse suonare critica e condanna di persone particolari e degli uomini che hanno avuto in questi ultimi tempi la responsabilità del governo delle Chiese d'Italia: così alto è il punto di osservazione dove io mi sono collocato che non si discernono da esso, se posso esprimermi così, né cupole di duomi né comignoli di seminari; ma si vede solo l'Italia di oggi e la sua vita e l'azione del suo clero in questa; vale a dire un complesso di fatti a creare il quale hanno contribuito infinite cause e a modificare il quale debbono influire infinite altre, fra le quali possono anche essere, io non lo cerco, riforme pratiche ed editti nuovi.
Dunque, rimane inteso. Queste lettere non invocano o non pretendono delle riforme particolari. Se alcuno ne deduce che questa o quella riforma, qua o là, sia necessaria, egli dovrà alle nostre considerazioni aggiungerne altre di indole pratica e prudenziale e quindi le sue conclusioni non ci riguarderanno „.
Ed ora, pubblicando queste lettere, io le dedico al clero di Italia con affetto vivo e con grande riverenza: affetto e reverenza che lo studio dello stato della nostra cultura, raccolto nei giudizi oggettivi che queste pagine contengono, ha lasciati intatti, accresciuti anzi; per la certezza avutane che questo nostro clero, pure subendo in parte le condizioni dei tempi e della società, rimase degno di sé e della chiesa, per l'integrità della vita, per la serenità dei propositi, per la volontà, se non sempre per l'intelletto operoso, del bene.
Ma più specialmente le dedico ai miei giovani e molti amici nel sacerdozio che da tre anni, su per una via difficile e dolorosa, mi sono larghi di incoraggiamenti e di approvazioni, e dividono con me le gioie e le angustie d’un apostolato (se non è audacia usare questa santa parola) che mira tutto quanto a preparare giorni migliori per l'azione nostra e per la chiesa in Italia, e che ha dovuto talora notare con schietta franchezza i vizii e i danni dell'ora presente.
Da tre anni io vado ricevendo da giovani chierici e sacerdoti un numero veramente enorme di corrispondenze contenenti espressioni caldissime di entusiasmi vivi e di volontà di lavoro: esse dormono nei cumuli polverosi della corrispondenza risposta, benché alla più gran parte di coloro che le scrivevano io abbia appena potuto mostrare l'animo grato dell'attestazione con un biglietto da visita; ma e il coraggio e la forza che han dato a me traspariranno da queste pagine, e il sano e vivo desiderio di apostolato che le dettava apparirà dai fasti della nuova generazione di sacerdoti che entrano in campo.
E questa cara comunione di intenti e di affetti, questo desiderio caldo che ha il giovane clero italiano d’esser degno dei suoi predecessori, della chiesa e delle grandi esigenze dei tempi, raccomandi ad esso queste povere pagine e le faccia utili alla causa santa.
Roma, 15 agosto 1900.
P. Averri
Il dislivello fra la cultura ecclesiastica e la moderna — Una crisi intellettuale ed una crisi morale — Religione e intelletto — Quantità e qualità di coltura necessaria all’apostolato — Danni della cultura irreligiosa — Difficoltà dell’argomento — Forze d’inerzia intellettuale — Limiti dello studio — Il giovane clero.
Caro amico,[1]
Tu meglio forse che ogni altro dei nostri in Italia - per questo dirigo a te queste mie confidenze pubbliche - hai avuto occasione di sperimentare un fatto che è fra i più notevoli nella vita presente dell’Italia nostra, non solo per noi cattolici, ma per chiunque non giudichi di quella, e delle sue condizioni religiose, con la superficialità di un sociologo novizio o positivista: il dislivello che esiste fra la cultura ecclesiastica e quella delle classi modernamente colte in Italia.
Ho detto dislivello, per non prevenire con giudizii precipitati l’esame maturo della questione e per stabilire la cosa in modo che tutti - i colti e sereni d’animo - possano esser d’accordo intorno ad essa.
Uno sguardo superficiale alla nostra stampa e alla loro [2]; alla nostra produzione letteraria e alla loro, alla nostra propaganda intellettuale e alla loro, a tutti, insomma, i mezzi e le manifestazioni della cultura, basta per rilevare fra la nostra e la loro delle differenze, delle antitesi, qualche volta, che variano secondo che variano i rami del sapere, ma che son sempre gravi e notevoli.
E tu, io diceva, hai avuto, più che ogni altro, occasione di sentir questo: poiché, assimilata con la forza del tuo ingegno tanta parte della cultura moderna, con una assimilazione profonda e vitale, cui la tua stabile fede non ha punto nuociuto, e gittatoti, per intima bontà di cuore, in un apostolato che si rivolgeva specialmente alla società moderna, tu hai avuto esperienza diretta di due cose: della curiosità benevola - curiosità non di scettici solo, ma spesso di anime agitate da un dubbio affannoso che cerca e desidera - con la quale le classi modernamente colte ti venivano incontro, e della distanza che la freschezza vivace del tuo apostolato metteva fra te e molti di coloro che della nostra cultura sono i rappresentanti: e tu hai anche la visione santemente fascinatrice di una messe “molta„ e la tristezza di vederti con così pochi nel campo.
Con così pochi! Ma intanto nella nostra vita d’animo e di pensiero da due diverse parti si manifesta un movimento intellettuale che promette giorni migliori.
Da parte de’ nostri avversarii, incominciando a passare di moda la facile e - oltre a tutto il resto - così poco scientifica superficialità con cui si condannava chiesa e clero e religione senza nemmeno degnarle d’un breve studio, trovasi finalmente che le son cose da occuparsene con attenzione; o per spirito sano di critica positiva, trovandovi un fattore storico di gravissima importanza nella storia della civiltà, e non solo della passata ma della presente anche e della prossimamente futura, almeno; o per un ritorno al cristianesimo, che avviene per molte vie, al quale molti fatti contribuiscono e che, nel crescente interesse delle lotte e dei problemi religiosi presso tutti i popoli civili, si delinea in maniera sempre più visibile.[3]
Dall’altra parte, da parte nostra, nell’azione che, provata da crescenti difficoltà, sente il bisogno di irrobustirsi intellettualmente e di impossessarsi, con la conoscenza, della complessa vita reale per poi penetrarla con l’opera, nello spirito vivo perenne di apostolato che al clero italiano fa desiderare lotte più feconde e vittorie e conquiste più belle, e nella forza medesima del lento ma sicuro corso delle idee e delle cose nella civiltà cristiana, tu ed ognuno che desidera un clero idoneo alle nuove (nuove rispetto al nostro stato di ieri, ma antichissime in verità) forme di apostolato, trova degli ausiliari potenti.[4]
Queste due tendenze mirano, evidentemente, ad un effetto comune, a livellare la cultura del clero e la cultura del tempo. L’una ha bisogno dell’altra e, sinché la chiesa avrà una storia, l’una deve agire sull’altra. Ora, perchè questo mutuo rapporto effettuale abbia luogo, è necessario che, per quanto differiscano nel contenuto e nelle forme, esse sieno, tuttavia, capaci id intendersi e di penetrarsi l’una l’altra, per affinità di linguaggio, di metodi, di abitudini critiche, di analogie e via dicendo.
C’è bisogno che io stia a dimostrarlo?
Ma non è la più ovvia conclusione d’un esame anche il più superficiale dell’intima natura dell’insegnamento e della dottrina cristiana?
Non dico ogni cattolico, ma ogni persona sensata che riconosca nel cristianesimo, considerato nella sua intima sostanza, una delle più grandi forze educative dell'animo umano, nella sua teologia il più elevato e raffinato sistema di idee sulla divinità e sui principii ultimi delle cose, nella sua morale la più nobile temperatrice degli istinti e delle passioni umane, deve confessare che una religione simile, in chi per professione ne difende e ne propaga gli interessi, esige singolari attitudini intellettuali e morali. E di fatto, in ogni tempo, i maggiori sforzi dell'ingegno e della scienza sono rivolti dall'uomo istintivamente a spiegarsi le ragioni della vita e delle cose universe; e le soluzioni correnti intorno a tali problemi sono, in ogni tempo, l'indice il più alto e il frutto raffinato della cultura d’una età: si che la chiesa, per opporre la sua alle soluzioni correnti, accettate spesso nel nome della Scienza che ne è invece - la scienza vera e soda, si intende - pienamente irresponsabile, deve lottare con successo nel campo delle indagini critiche e storiche e delle ipotesi filosofiche dalle quali queste hanno origine, giustificare le sue origini e i suoi titoli, recare il proprio concorso - e come prezioso! - ai progressi del bene nell'umanità.
E a pena gioverebbe, per isfuggire a quest’argomento così semplice, negare che il cristianesimo sia verità e luce che illumina ogni uomo, per dire con la critica kantiana e positivista che esso si appoggia su d’altre basi ed esigenze della natura umana o dell’evoluzione sociale che non sia la ragione, cercante, con i mezzi che ha, di raggiungere la certezza della verità; ed affermare, con una male intesa filosofia dell'immanenza, che le vie della fede sono percorse dalle facoltà sensitive ed emotive della psiche umana, scartando o subordinando ad esse il concorso della conoscenza e dell’intelletto. Poiché la psiche umana è una: è una la vita e la società: e i contrasti apparenti dovrebbero poi tornare a fondersi nell’unità armoniosa della vita e del sapere. La questione, anzi, non sarebbe che più interessante: poiché un largo rinnovamento della cultura ecclesiastica, l’assimilazione dei risultati d’un periodo già lungo di studii critici e positivi e l’entrare in massa, direi quasi, del pensiero cristiano nei campi della scienza positiva moderna e della vita sociale nuova che essa tende ad elaborare, la giustificazione, insomma, razionale ed intiera del posto della fede e del cattolicismo nel mondo, sarebbe pel cattolicismo l'experimentum crucis della sua esistenza.[5]
Ma - muovendo dalla convinzione di ogni cattolico che scienza e fede non sieno che due diversi ordini di verità, il primo de' quali ha per punto di origine le cose visibili e per istrumento la ragione, l’altro riguarda le cose invisibiti e soprannaturali e le attinge per rivelazione, di modo che l’una, benché signora nel suo campo, è come il vestibolo dell’altra e conduce ad essa - noi dobbiamo esser certi che non solo nell’abito della fede e nelle conquiste assodate della scienza moderna non ci è nulla che impedisca ai ministri di quella di occuparsi con successo di questa: ma che il ravvicinamento fra lo studio del sensibile e quello del sovra-sensibile, il quale è nei desiderii di tutti coloro che non hanno perduto, nella conoscenza e nello studio di ciò che cade sotto i sensi e si trasmuta e diviene, ogni gusto del permanente e dell’immanente sotto la veste dei fenomeni esteriori, si va di fatto avverando; e che esso solo darà modo al clero - knowledge is power, dicono gli inglesi - di riacquistare sulla vita e sul pensiero moderno l’ascendente che gli è lentamente venuto meno.
Il clero, stabiliamo adunque il principio, per esercitare il suo apostolato ha bisogno di un certo grado, di una certa quantità e qualità di cultura, determinata dalle condizioni intellettuali della società di cui fa parte, e adatta ad agire su di essa efficacemente per via di persuasione e di concorso operoso al rinnovamento della coscienza e della civiltà umana.
L’efficacia della propaganda intellettuale irreligiosa è in ragione inversa della cultura del clero di un paese. Un semplice studio sulla psicologia di coloro che si allontanano dalla fede una volta posseduta ci mostra che l’uomo il quale prende in odio la religione può esservi indotto da cause morali e sociali, da contrasti e dissensi pratici e da pregiudizii civili; ma che egli ha bisogno di pretesti intellettuali per giustificare a sè stesso la sua condotta e li cerca, e, dato che debbono essere pretesti, li trova, quando alla verità è chiusa ogni via di parlare al suo intelletto e di impedirgli di adagiarsi ne’ sofismi speciosi:[6] più ancora, l’uomo che fa propaganda di irreligione ha bisogno di pretesti intellettuali per persuadere gli animi all’errore: e il formarsi di quegli stati di cultura, nei quali la coscienza colpevole trova il suo alimento malsano, è tanto più facile quanto meno il ministero intellettuale del clero ha forza di penetrare e dirigere le menti. Inoltre, dalle origini delle nuove scienze positive ad oggi, da quando tutto il pensiero scolastico medioevale, cacciato dalla vita per mezzo dell’umanismo e roso dal dubbio interno, incominciò a crollare, il pensiero umano ha battuto la sua via lontano dalla fede e spesso in contrasto con i ministri di essa, si è esaltato nelle ebrezze di conquiste preziose delle scienze critiche e sperimentali, ed è venuto creando uno stato di animi sommamente avverso alla Chiesa, alle ragioni di credere ed al soprannaturale.
Io potrei essere infinito con le illustrazioni e con gli esempi: ti ricorderò solo un caso tipico e vicino, quello del clero che precedette in Francia la rivoluzione. Il Tocqueville, acuto e geniale osservatore, e che alle virtù morali di quel clero rende giustizia, là dove cerca le cause intellettuali della rivoluzione, dice che il rapido diffondersi del razionalismo fu dovuto al fatto che il clero non era in grado di combatterlo e, pur di conservare le rendite che la religione gli aveva procurato, lasciava che se ne scalzassero quietamente le basi razionali nel pensiero della Francia contemporanea[7].
Ed oggi l’erezione a sistema del materialismo ateo, la strana e terribile lontananza della scienza moderna da Dio, che tu avrai forse avuto, come io l’ho avuta, occasione di notare in anime di studiosi così gelidamente estranee ed inette al pensiero religioso, noi la dobbiamo a questo; all’aver potuto la sienza, indisturbata, fermarsi nelle sue ricerche sull’universo sensibile, senza che una voce dal di fuori riagitasse in essa la coscienza - che in qualche momento parve quasi spenta – dell’invisibile.
Ma io, lamentando, precorro.
Lasciami quindi tornare indietro di un passo e vedere se il mondo moderno offra anche dei motivi speciali per la esigenza, nel clero, d’una grande e particolare e modernissima cultura.
Nel medio evo l’azione del clero si sposò alla superiorità del pensiero latino sui barbari e la cultura fu, per molto tempo, monopolio della chiesa e quindi strumento prezioso di apostolato.
Ma la cultura del clero si addormentò sulle vittorie e la scienza moderna - quella dell’esperimento e della induzione - è sorta al di fuori di ogni influenza religiosa.
E questa scienza ha creato, in gran parte, la vita moderna, ed ha presieduto alla formazione della cultura moderna, la quale è perciò anche essa fuori dell’influenza diretta del pensiero religioso. E nota che di questa cultura si fa oggi un uso mai visto per l’innanzi. L’uomo che, insino a questi ultimi tempi, fatta eccezione per i dotti, minoranza minuscola, non pensava che alle cose che interessavano direttamente la sua vita privata o di cittadino, oggi pensa a una infinità di cose. Ne' romanzi, dove la fantasia è portata in campi immaginarii, a crearsi e vagheggiare una esistenza fittizia, ne’ giornali che passano in rassegna la vita dell’universo mondo, nelle scuole che abbracciano oggi tutto lo scibile e tutta la storia, vale a dire, per lungo e per largo, tutto il campo di quel che è saputo, nelle agitazioni e nei contrasti della vita politica e sociale - agitazioni e contrasti che, diffondendosi in circoli sempre più vasti, vanno rapidamente includendo il popolo minuto, i lavoratori e oggimai, anche la donna - si fa consumo immensurabile di pensiero.
E quindi, a formare il carattere e la coscienza dell’uomo oggi la tradizione, il culto, l’educazione domestica hanno una parte sempre più limitata: è un tumulto continuo di parole, di conoscenze, di rivendicazioni, di ideali, che sale alla sua anima, ed in cui le singole voci sono alterate dal rumore confuso e si perdono [8].
Ora, tutti questi mezzi di cultura popolare sono armi terribili di scristianeggiamento in nome del pensiero moderno irreligioso; e la religione, mentre è costretta a mutare ed aumentare i suoi mezzi per parlare alle anime ed essere sentita, innanzi a questa cultura moderna si trova quasi nelle condizioni del cristianesimo palestiniano dinanzi alla cultura pagana; con questo di danno, che non abbiamo per noi la franchezza e la impetuosa e confidente vivacità del pensiero cattolico di quei secoli mirabili, che lo portarono ad assimilare cosi rapidamente l’ellenismo ed a servirsene, e che gli guadagnarono in breve il dominio assoluto della cultura.
Immagina quindi quanto bisogno il clero abbia, in questa lotta per la cultura (Kulturkampf, come dissero, divinando, i tedeschi) di conoscere bene il suo dovere e di compierlo, di possedere, dominandole dall’alto della sua fede, tutte le vie della cultura, di farsi padrone di questi mezzi numerosi di diffusione di idee, e di servirsene ai suoi scopi di educazione intellettuale e morale.
Ed è questo che mi ha tentato e tratto a scrivere, non ostante le difficoltà dell’argomento delicatissimo.
Capirai come, messe le cose a questo modo, la domanda se il clero di Italia abbia oggi quella qualità e quantità di cultura che le condizioni intellettuali del paese richiedono, o, meglio, se abbia, nella formazione e nelle manifestazioni del pensiero delle genti italiane, l’influenza necessaria all’esercizio del suo divino apostolato, è tale domanda che interessa direttamente e in modo meraviglioso la Chiesa e la patria.
Ed ora che io ti ho detto perchè me la sia fatta, questa domanda, e perchè mi sia deciso a cercare una risposta, io ti dirò brevemente, prima di incominciare, quali difficoltà interne ed esterne io vegga nella ricerca, e le vie per le quali intendo, nella maniera che mi riescirà meglio, cavarmi di impaccio.
La prima difficoltà è estranea all’argomento.
Supponi infatti per un poco che i cattolici, esciti prima di noi dalle nostre scuole, sieno in fatto di cultura in condizioni differenti delle nostre e dalle desiderate da noi. Non c’è bisogno d’essere dei sociologhi acuti per dire che cosa avverrà in questo caso.
In parte essi, in forza dello stato medesimo della loro cultura, non saranno molto atti ad apprezzare le nuove esigenze dei tempi e rimaranno quindi conservatori impenitenti, nemici di ogni novità che turbi le loro abitudini e ricordi ad essi che il mondo, che male intendono, e del quale pure talora fanno la critica, va innanzi, senza chieder loro il permesso di muoversi: si ché, per necessità, essi dovranno provare una avversione segreta contro la cultura e la vita cui sono estranei.
E talora in questi casi avviene anche un fatto che, per me, è uno dei più dolorosi esempi della miseria della nostra natura: la resistenza al movimento in avanti, la tenacia messa nel sostenere forme e istituti sociali che, perduta la loro prima ragione di essere, rimangono solo in tanto in quanto è attaccato ad esse ciò per cui l’uomo lotta, d’ordinario, più che per ogni altra cosa - l’interesse privato di molte persone - il conservatorismo ad oltranza, si ammantano di zelo religioso, si riparano dietro la grandezza d’una causa che credono di sostenere e che compromettono: vinti dal progresso della vita, i reazionarii si lusingano di lottare per una istituzione che non è mai vinta: ostacoli, si accomodano a paladini: ignari, appellano all’esperienza, non pensando che l’esperienza è l’intendimento giusto e realistico della vita e null’altro.
Qualcuno, non tu, potrebbe pensare che io sono severo.
Tu avrai dato alle mie osservazioni il valore oggettivo che esse hanno. Per rilevare uno stato d’animo latente in molti, ed ovvio in ogni istituzione umana che, raggiunto l’apogeo del suo sviluppo, sente sfuggirle le origini della vita e s’abbarbica al potere e si chiude e diviene reazionaria, tentando quasi di fissare il corso della vita perchè esso non la trascini, io ho fatto il caso tipico; un caso che non si verifica così spesso in tutta la sua gravità, ma che, nel multiforme complesso delle psicologie individuali, ha una serie di applicazioni indefinita.
Il parroco che, non potendo ricominciare, trova inutili e pericolose le nuove forme di associazione: il sacerdote che, chiamato improvvisamente dai banchi di teologia ad insegnare letteratura, sapendo o sentendo di non poter essere moderno come va, preferisce, per iscusarsi, esser meno moderno di quel che potrebbe e torna all’antico: l’uomo di azione che ride e si stranisce insieme a un giudizio sulla azione non dato in base all’esperienza, alla sua esperienza; l’uomo d’ogni età, che non può rifare la sua suppellettile intellettuale, ma non si rassegna a pensare che nel mobilio intellettuale lo stile rococò è passato di moda e senza ritorno, e grida con tanta più animosità contro lo stile moderno, l’uomo d’età che vuole imporre i suoi modi di vedere quando l’atrofìa cerebrale incipiente gli impedisce di assimilare i nuovi stati d’animo e le nuove idee, e lo fa pauroso e misoneista, sono tanti casi diversi e variabili all’infinito del medesimo tipo astratto che io aveva esposto più su.
Cosiffatti uomini non sono pochi fra i nostri; parecchi, è vero, i più saggi, i più prudenti, i più illuminati, che hanno, nell’anima ardente di cristianesimo, il culto di ogni cosa nobile e buona, non sono mai così; tuttavia, pur troppo, non sono questi secondi quelli con i quali tu avrai più sovente a fare, ma sì gli altri, e quelli innanzi tutto che sono meno atti a giudicar bene e più pronti a giudicar male di te, per spirito di lotta e maggior impeto di interesse.
Sicché, se mi son messo a scrivere della cultura del clero ai nostri giorni, io l’ho fatto, non solo perchè aveva delle cose vere da scrivere, ma perchè era profondamente convinto che oggi fosse opportuno non solo, ma necessario dirle; e che perciò, oltre che molti contradittori, le mie parole avrebbero trovato molti benevoli e molti approvanti.
E mentre io ti scrivo questa, che è, in ordine di tempo, l’ottava mia lettera, quel mio presentimento è divenuto un fatto del quale ho in mano le prove evidenti nelle numerose lettere di giovani che da ogni parte, come anime che si scuotono e si destano alla vita, salutavano con entusiasmo la parola del risveglio: una parola che forse essi aspettavano nel segreto, e nella quale trovavano, in ogni modo, promesse e speranze d’una missione più alta e più degna.
Ma io non scrivo solo pel clero, e mi lusingo che le mie lettere avranno anche qualche altro lettore: non fra coloro i quali, a priori, ed è anche un po’ colpa nostra, credono che un libro sul clero debba essere la cosa più antiscientifica di questo mondo: non fra i fanatici dell'anticlericalismo, pieni di troppa passione per leggere d’argomenti simili e leggere con serenità; né fra i giovani sociologi positivisti e i giovani letterati decadenti, ai quali io applicherei volentieri il nostro antico proverbio, un po’ volgare, se vuoi: “i ragazzi sporcano le case„ - e la casa della scienza anche; - ma fra gli studiosi serii che veggono che l’argomento è serio e trattato, se non mi illudo, seriamente: fra gli amatori sinceri del paese, capaci di valutare l’importanza della parte che avrà il clero nelle sorti future d’Italia, e che di questo clero vogliano conoscere le condizioni.
E ci sono anche, sul conto nostro, dei giudizii erronei od esagerati da raddrizzare. In questo ultimo secolo noi ci siamo sovente, è vero, trovati in una posizione falsa, ma fu colpa piuttosto d’una invincibile necessità di cose che d’uomini; cosa che io - poiché non è la parte di difensore del nostro clero che mi sono assunto presentemente - non potrò dimostrare con uno studio diretto sulla parte che il clero ha avuto negli ultimi avvenimenti, ma che apparirà anche solo dalle osservazioni che farò sullo stato della sua cultura e sulle cause d’una condotta così diffidente e riserbata dinanzi al sorgere delle forze e tendenze nuove ; cause che non di rado ebbero - così vanno le cose - effetti buoni per altro verso[9].
Del resto, di costoro, mi legga chi vuole: ma nel clero io so di avere molte anime sorelle, e so che ad esse le mie lettere faranno qualche bene.
Esse, che hanno della società moderna un intuito giusto ed acuto; che veggono nelle classi colte, dove pure tante anime gemono sotto il peso della colpa da cui non sanno redimersi, il pregiudizio intellettuale contro la chiesa e l’immaginazione sviata esser la causa stabile e prima d’uno scristianizzamento che sale e riversa le sue onde avvelenate, ma scintillanti alla luce della vita moderna, sulle classi inferiori; esse che vorrebbero poter affrontare, dominare questa cultura paganeggiante ed imporle il rispetto e insinuarle l’affetto del domma e della morale cristiana, esse sapranno certamente grado a chiunque le aiuti anche un poco a conoscer meglio questo mondo moderno e i doveri del clero nel prepararsi ad esercitarvi il suo ministero di luce e di pace; e se esse, che all’amore saldo della chiesa ed alla fiducia dell’avvenire uniscono la coscienza di un compito maturo e di un combattimento nel quale, benché le armi sieno in parte nuove, rifulge in tutto il suo vigore lo spirito dell’apostolato, troveranno in queste pagine qualche utile eccitamento e qualche savio consiglio, sarò contento del mio lavoro.
Ed ora doveva parlarti delle difficoltà interne all’argomento: ma sarà per la prossima lettera, tanto più che con l’esame di quelle io entrerò nel campo della mia ricerca.
E sta bene.
[1] Il p. Giovanni Semeria, barnabita. E sia, l’avergli rivolto queste lettere, segno di cordiale affetto e di ammirazione per la sua instancabile attività e per l’enorme bene che egli va facendo in Italia con la parola, con gli scritti, col fascino della sua conversazione e del suo esempio.
[2] La divisione fra i due insegnamenti - ecclesiastico e di Stato - e fra tutte le varie cose alle quali qui accenniamo, è divenuta evidentissima. Non vi è quasi più un libro, una scuola, un periodico, una iniziativa neutra: tutto ha la sua brava marca di fabbrica, clericale o liberale.
[3] Questa crescente consapevolezza dell’importanza del fatto religioso nella vita si è venuto, da quando io scriveva queste parole, manifestando ogni giorno meglio, per mille segni. Lo stare a riassumerli qui sarebbe inutile: molto più che di parecchi di essi avremo occasione di parlare nel corso del volume. Noteremo solo qui che questo ritorno al cristianesimo ha stretti rapporti con lo svolgimento di tutte le più gravi questioni e le più importanti manifestazioni della civiltà occidentale, nelle quali penetra e si riflette in vario modo il risveglio del pensiero e dell’attività religiosa.
[4] Vedere, nel quarto volume delle Battaglie d’oggi, i capitoli VII, VIII, X.
[5]
Vale forse la pena di fermarsi più di proposito su questa osservazione,
che può avere, per parecchi, qualche oscurità.
A diminuire, agli occhi di molti, l’importanza degli studii religiosi
e del cattolicismo è valso il preconcetto kantiano che la religione
non avesse basi saldamente razionali, ma fosse piuttosto affare d'una
speciale facoltà morale, d’una intuizione e spiegazione pratica della
vita, determinata e causata da speciali necessità psicologiche e
sociali, di sentimento, infine. E questo preconcetto è stato
ravvalorato e sostenuto da tutte le varie correnti della filosofia
materialistica, concorde in questo, che il sapere scientifico
riguardasse solo le cose direttamente sperimentabili e la realtà
che cade sotto la nostra indagine positiva. I più cauti sono solo
giunti a dire che l’ambito di ciò che può essere scientificamente
conosciuto dall’uomo non uguaglia forse l’universa realtà, e che
l'inconoscibile (o l'inconscio o l’indistinto)
possa essere oggetto di intuizioni vaghe, di sentimenti speciali,
di speculazioni religiose. Ma questo stesso modo di vedere non
giustifica — ed è quel che diciamo nel testo — l’ostentata
indifferenza di molti per gli studii religiosi e specialmente
per il cattolicismo. Poiché il valore di questo come fatto
storico, la parte che i fenomeni religiosi hanno in tutta la
storia, le derivazioni e le tradizioni cattoliche e cristiane
nella stessa nostra civiltà occidentale sono immense: e non si
potrebbe dire davvero che studii speciali, cattedre universitarie
e ricerche dedicate a questi argomenti fossero tempo e denaro
perduto. Si aggiunga poi che parecchi osservatori più spassionati
hanno fatto notare come, se si può tentare di sostituire il
cattolicismo, o il cristianesimo stesso, con nuove forme religiose,
il posto che nella vita dell’umanità occupa il fatto religioso
non può rimaner vuoto; sicché nel socialismo stesso molti hanno
cercato i caratteri di una vera religione. E forme religiose
assume nel pensiero di parecchi moralisti atei la stessa simpatia,
il secondo segreto della natura umana, sulla quale si
cerca di stabilire le basi morali della convivenza sociale di
domani. Questa irreducibilità e necessità del fatto religioso
è in perfetto accordo con i più recenti ed accurati studii
di psicologia.
[6] È noto come oggi si insista da molti — vi insisteva già il Newman — (vedi Bremond, Inquietude religieuse e Ames religieuses) e vi insistono specialmente i filosofi e gli apologisti della scuola dell’immanenza, e, con dottrine non tutte egualmente sicure, i promotori della Action morale in Francia, ed in Italia parecchi scrittori - fra i nostri, il p. Semeria, specialmente nella prefazione al suo recente volume “Le vie della fede„ - sulla importanza grandissima che nel venire delle anime alla fede ha quello speciale e sicuro intuito religioso dato dal Signore alle anime che fanno onestamente e sinceramente il bene. L’osservazione che io fo qui è solo in apparenza opposta a quest’ordine di idee, anzi concorda forse con esso: poiché se le sensazioni e le emozioni dominano o dirigono le appercezioni, e quindi la virtù o il vizio (affetti buoni o perversi) si vanno lentamente creando una filosofìa della vita che risponda ad essi, nessun ambiente intellettuale più favorevole al vizio di quello nel quale il pregiudizio irreligioso domina e si insinua dovunque per mille vie. La volontà del male non potrebbe avere un complice più sicuro né più efficace.
[7] Il vecchio Stato e la rivoluzione. Parte III, Cap. II
[8] Vedi P. Averri: La stampa quotidiana e la cultura generale (Roma, Società I. C. di cultura editrice) passim.
[9] Spesso ci fu fatto il torto di ritenere che noi, nell’impeto di una critica distruggitrice, trascurassimo o disprezzassimo le generazioni precedenti di cattolici e tentassimo di rompere la continuità della tradizione e della vita. Dicendo solo che ciò fu lungi dal nostro pensiero non saremmo creduti: meglio varrà il dire che ciò è anche contrario a quello spirito di osservazione positiva, rivolta a spiegare e non a far giudizii di lode o di biasimo, che è il nostro vanto, ed all’amore per la Chiesa cattolica, la quale è insieme - e questo fa la sua stabilità - una dottrina ed una organizzazione.
Sezione non disponibile per motivi di copyright. Il testo diverrà di pubblico dominio solo a partire dall'aprile 2014.
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