ROMOLO MURRI
1904
Nel volume, i numeri IX X sono, per errore, ripetuti due volte e il numero XIII omesso. Abbiamo distinto con asterisco i due capitoli che hanno il numero d’ordine ripetuto, e cioè i capitoli IX* ,e X*
Al lettore,
Dopo quel che ho premesso ai volumi primo e secondo di questa raccolta, il terzo non ha bisogno di presentazione.
Io aveva in animo di esporre, quando ne avessi scritto l'ultima pagina, la genesi soggettiva del libro e di spiegare con quali intendimenti oggi, a lavoro finito, mi accingessi a riprender da capo la vastissima trama del lavoro, profittando della migliore conoscenza dell’argomento, dei giudizi che furono dati di parecchi di questi capitoli quando essi apparvero nella Cultura Sociale e delle opportunità di studio e di meditazione che io spero dagli anni prossimi.
Ma io ho pensato che è meglio non farne nulla : questa confessione di scontento dell’opera mia e di desiderio di meglio potrebbe parere, a chi non mi conosce, un atto di vanità; quelli che sanno in quali condizioni io abbia lavorato e scritto, in questi ultimi anni, sono certamente disposti a perdonarmi molto, e gli altri, quelli che faranno la mia conoscenza in queste pagine, o avranno voglia - lette che le abbiano - di saperne di più, e c’intenderemo; o passeranno oltre, e non ci si penserà più.
Né, del resto, a queste pagine frammentarie, nelle quali si studia uno dei problemi piic ardenti che presentino la vita e la civiltà d’oggi, da uno che, prima di parlarne come osservatore, vi ha gittato dentro tutta la sua opera volonterosa di propagandista, mancherà quel poco di favore o di curiosità che basti per farle andare: nè a me, se il Signore vuole, mancherà il tempo di fare che essi studi diventino da una parte buoni propositi e buone azioni, dall'altra un lavoro più tollerabile e meno incompleto.
E così, senza entrare nell'argomento delle pagine seguenti, confido agli amici ed al pubblico il libro e la speranza.
Ed ora val la pena di dire una parola anche al lettore malevolo, che certo non mancherà a queste pagine?
Chi le prenda in mano per cercarvi il giovane, impetuoso ed ardente, o l'avversario in ruvide battaglie a pena finite, o l'audace critico d’una generazione di cattolici che trovò tanto comodo e tanto facile dir male, soltanto e sempre, degli altri, potrà trovare nel libro parole e frasi sulle quali esercitare lo zelo d’una impeccabile ortodossia, avida, in questioni così delicate, d’una chiarezza e d’una calma che solo lunghe e tranquille meditazioni possono dare a chi scrive.
Ma tali critici facciano pure, specialmente se questa è la loro professione. Io non pretendo che si trovi nelle mie pagine quello che so di non averci potuto mettere e non per mia colpa: la diligenza assidua che pesa ogni parola ed ogni periodo. Del resto, cattolico e prete, io me ne rimetto volentieri e in ogni caso al giudizio infallibile della Chiesa per amor della quale scrivo.
Ma provi un simile lettore, se ha anima e desideri di cristiano vero, a non cercare in queste pagine che l’espressione calda e fresca d’un amore intenso per la Chiesa e d’un orrore non meno vivo per il paganesimo che si diffonde così largamente in mezzo a noi; pensi, leggendo questi giudizi all’apparenza un poco forti e nuovi, a tanti altri giudizi non meno severi sugli stessi argomenti, dei quali son pieni i libri ascetici e morali di ogni tempo, e forse troverà nel libro di che lodarsi.
E muterà giudizio, e penserà che non val la pena di trattenersi in quisquilie, quando il grido d’allarme è così impetuoso e così opportuno contro il nemico che ci penetra in casa.
Il turbine della vita — Un momento di riposo e di riflessione — Siamo ancora cristiani? — L’arte, la politica, il giornale, la scuola — Che è la religione? — I migliori— Dove è l’arte e la letteratura cristiana? — La borghesia e i suoi ideali — Dolore e piacere — E vanno in chiesa? E vengono dalla chiesa? — La vita pubblica — Brontolii di asceta o preoccupazioni di cristiano ? — Lo scopo di questi brevi studi.
L'età non è propizia alla riflessione, il turbine della vita ci trascina e poche volte ci avviene di poter tirarcene fuori e di vederlo da lontano, al raggio d’una luce che ci viene all'anima dalla fede. Il mondo oggi non ha più cenobi, o almeno coloro che ci vivono attendono tutta la loro vita a se stessi, alle preghiere e al giardino, nè mai la loro parola va a commuovere gli uomini che lavorano in mezzo alla grande e rumorosa vita. Il mondo moderno va, con impulsi tutti suoi, verso una civiltà sempre meno cristiana, che, benché sembri ricca di bellezza umana, nasconde nel suo seno tutti i vizi e le piaghe d’un nuovo paganesimo; e chi ci vive in mezzo, per necessità o per ministero, oppresso od affascinato, appena ne discerne i sottili errori ed i pericoli spaventosi.
Così quando io, nell'ombra d'una bella e devota chiesa di villaggio, un mese addietro[1], gustai a lungo nella preghiera, innanzi all’altare del sacramento, la calma dell'anima datami da qualche giorno di riposo e di solitudine, il pensiero della vita alla quale bisognava tornare mi assalse come un brivido; e io mi chiesi se mai la religione di quell'altare, così eloquente e così attento alle voci dell'anima, fosse ancora la religione della società che ci trae nei suoi vortici e ci circonda ed assorda de' suoi rumori; ed uscito di là promisi ai lettori della Cultura di raccogliere un poco il pensiero, più tardi, per utilità mia e loro, su quel contrasto stridente.
L’analisi è difficile a fare. Le abitudini della vita moderna sono cresciute accanto a quelle della vita cristiana di altri tempi; profonde convulsioni politiche e sociali agitavano gli animi, la società civile si rinnuovava, penetravano per tutto i giornali, sorgeva il teatro nuovo, il café-chantant si apriva, s'inaugurava il circolo liberale o socialista, si scopriva un giorno, nel palazzo comunale, la lapide a Garibaldi e a Giordano Bruno, si cambiavano i nomi delle vie, il costume mutava lentamente, un sottile spirito di materialismo pervadeva tutto, ma le chiese non si chiudevano per questo: esse rimanevano aperte lì accanto, e ancora la gente vi andava e qualche sacerdote, là dentro, amministrava i sacramenti e parlava dall’altare, e forse la festa il popolo andava, alle dodici, - le donne in abiti sfarzosissimi, i giovanotti pieni di spirito, di curiosità e di moteggi - ad ascoltar la messa che durava solo 20 minuti; e poi correva - lo stesso popolo - a prepararsi per la dimostrazione patriottica della sera, a salutar la caduta del potere teocratico, proclamata dallo studente di legge, a sentir le commedie di Dumas e i drammi di Ibsen, di Sudermann, di Mendès.
Né la gente che faceva queste due cose insieme s’è mai chiesta se fosse pagana o cristiana: che ne sapeva, e perchè avrebbe dovuto pensarci?
E se le giovanette, tornando dal monastero, dove avean recitato tante preghiere e tremato e palpitato d’ansie segrete al pensiero del mondo, pieno di misteriosi spaventi e di più misteriose allettative, trovavano sul tavolo della mamma la Scena illustrata o la Tribuna settimanale, e sentivano i discorsi scurrili e l’espressione viva, continua di desideri pagani; se i giovanotti, dopo il grave sermone paterno, escivano a sollazzarsi con i coetanei, schernendo il prete ed offendendo le ragazze; se la politica atea, l’arte nuda, il giornale pagano, il romanzo adultero, la scuola materialista eran cose che occupavano oramai tutto e non meravigliavano più nessuno, e a pena a pena qualche prete vecchio ne brontolava, non per questo veniva in mente ad alcuno di domandarsi se il mondo avesse mutato religione o se ne avesse ancora una.
La religione? Ma che è altro se non qualche ceremonia fatta dai preti in chiesa, qualche abitudine sociale alla quale sarebbe brutto sottrarsi e ingenuo mostrarsi troppo benevoli, il battesimo solenne del bambino, il matrimonio in chiesa, la croce sul feretro e qualche altra cosa simile?
E perché preoccuparsi del venir meno di essa quando invece si sa e si dice da tutti che la religione c’è ancora, e la nostra religione è quella che si chiama cattolica ed ha il Papa per capo?
C’è, è vero, di quelli che non tacciono la loro professione di ateismo e seguono notoriamente massime di morale pagana e, peggio, di quelli che proclamano apertamente religione, Chiesa e Dio essere attrezzi buoni per menti fanciulle, nell’infanzia del pensiero scientifico e positivo, cose che se ne vanno, senza che valga la pena di rimpiangerle. E costoro conversano liberamente con gli altri, anzi sono la gente più accetta e più stimata nella società: pochi ma audaci, prima, e poi sempre più numerosi, essi hanno empito le cattedre universitarie, le professioni liberali ed i più alti uffici dello Stato.
La cosa potrebbe far credere che i loro principi sieno quelli che la società preferisce e l’irreligione loro sia l’irreligione sociale, in lotta fiera e dichiarata col cattolicismo; ma no, i cattolici non tengono, dinanzi ad essi, un contegno diverso dagli altri, anzi son proprio essi che, senza alcuno scrupolo religioso, li mandano alle amministrazioni pubbliche, al parlamento e li applaudono e li ammirano e consegnano ad essi tutta la loro fiducia.
E via via il potere loro si allarga e la generazione nuova si forma ad immagine di questo fior della vecchia.
Ma, intanto, di tutto ciò che dovrebbe essere conseguenza logica della religione professata da una società, da noi non si vede nulla.
Di letteratura cristiana vera non c’è più l’esempio: appena qualche romanzo per «fanciulle cattoliche», il quale appartiene sovente al genere «noioso», che si trascini stentatamente per i saloni; il resto, giornale o fascicolo, libro o teatro, testo o illustrazione, è tutto a un modo: forma pagana, ideali divinizzanti l’umano, la carne, la forza, la vita d’ora e di qui; appena, segno d’una coscienza agitata l’espressione trista e dolorosa delle lotte sociali, il grido e lo spettacolo dei vinti della vita nelle pagine della letteratura del nord, qualche volta; né in questi dolorosi e duri richiami alla triste realtà della vita apparisce il raggio di una speranza cristiana.
Ciò non sorprende: noioso è tutto quello che è falso, in arte: e falsa è tutta più o meno la nostra letteratura di questi ultimi tempi perchè, credendoci in dovere di esser legittimisti anche in essa, noi abbiamo sopportato in pace il cattivo governo della retorica, sostituitasi alla spontaneità, alla osservazione diretta, allo sforzo creatore delle nostre facoltà conoscitive (Vedi vol. II, cap. X).
E di un’arte cristiana sarebbe ridicolo parlare.
L’arte classica, greca e romana, che rimase così spesso nelle serene e fredde speculazioni del bello ideale, s’allontanava meno che questa nostra dall’intimo sapore dell'idea cristiana figurata nei marmi e nelle tele: oggi l’arte traspira voluttà da ogni poro e subisce tutta quanta, quando non l’accetti gongolante, il nuovo antropomorfismo, tanto peggiore dell’antico quanto è più grave l’allontanarsi dalla verità e dalla giustizia dopo avere avuto la disgrazia di conoscerle, quando ne resta in fondo alla coscienza l’assillo pungente. D’arte cristiana non ci restano che le imagini a cromolitografia e qualche figura scolpita o dipinta che ha forse un’aureola in capo e un santo nome in basso; ed è fortuna se il disegno è almeno corretto o se la divina figura del Cristo non vi ritrae qualche male imaginato delinquente a tipo orientale[2].
Né con ciò le si rimprovera, come altri imaginò, l'essere viva, sana e reale; ma l'esprimere una intuizione realistica e pagana della vita; ma il non sapere, in tanta realtà, elevare gli animi a una pura visione di bellezza superiore, essa che invece è così spesso una tentazione lubrica o un commento a colori del materialismo moderno.
Non parliamo poi della vita. La società nostra ha una paura indicibile del dolore ed una smania tormentosa del piacere e dei mezzi di procurarselo; e in questo si consumano i suoi sforzi.
La borghesia - parlo principalmente di essa - lotta disperatamente per la ricchezza; il giovane e la giovane che a vent’anni entrano nella vita - guasto già il cuore da quel che hanno letto ed inteso, e il prete è appena passato accanto a loro come l’ombra nera d’un vecchio essere strano - hanno due grandi sogni che li tormentano: il denaro e il piacere; il denaro da conseguire a qualunque costo, senza una meta fissa alla quale giungere e nella quale fermarsi, ma quanto più è possibile, con la caccia alla dote, all'ufficio, alla professione lucrosa esercitata senza scrupoli, con l’agitazione irrequieta e l'anelito verso nuove rivoluzioni politiche, con il delitto. E il disastro economico e morale ha, sorelle immancabili, la vergogna o la morte, per l’uomo; per la donna, la rovina sociale d’una famiglia.
Il dolore spaventa questa società in modo strano; il vincolo matrimoniale si spezza appena appena la necessità d’un po’ di compatimento mutuo si affacci sull’orizzonte della vita del nuovo nido; la soggezione domestica, la vita di famiglia, la regolarità scrupolosa dell'uomo d’affari, tutto ciò che richiedeva un sacrificio o un controllo sopra se stessi è passato rapidamente di moda: il suicidio, fosco compagno, e le profonde malattie nervose salgono con questa civiltà nuova rapidamente, nelle sue corse vertiginose.
Il concetto cristiano del dovere rimane, presso molti, ma timido, ma nascosto; i canti dei poeti, la limpida prosa dei romanzieri, i volumi della biblioteca per signora e di tante altre biblioteche, le illustrazioni salaci e scollacciate del giornale parigino della domenica sono tutti una offerta votiva all'amore della carne, alla bellezza e alla gioventù adorata, ai perfetti amanti, alla mostruosa ed affascinante psicologia delle adultere: appena ci resta, di relativamente sano, qualche forma di sport, la fugace curiosità dei fatti dell’ultim’ora, la passione dei viaggi.
E dallo studio dell’artista al salotto della signora elegante; dalle vetrine dei librai con le ultime novità, cartoline, fotografie e romanzi di oltr’alpe, alle esposizioni d’arte; dalle oleografie del circolo di lettura d’un villaggio al gabinetto del ministro, arguto pensiero del genio d’una cocotte, sale l’apoteosi alla nuova divinità che occupa tutti i cuori: il godimento sensuale, la carne.
E mentre gli uomini s’adagiano sempre meglio nella vita di scapoli, le giovani vivono sempre più per la ricerca affannosa, incessante del marito; e se un resto di convenienza sociale le salva dalle cadute amorose, la loro neurastenia acuta sconvolgerà le famiglie e le intere classi sociali.
Poi in una qualunque delle nostre città - in Roma, per esempio, al Corso dopo il mezzogiorno o la sera - voi vedete passare una folla numerosa di gente ben vestita, spensierata, il cui ufficio è di guardare, di osservare se si è guardati, salutarsi, passarsi rapidamente delle frasi brevi e delle occhiate significanti; e se vi venisse, come è venuta a me tante volte, la malinconia di chiedervi quanti mai, di tutta quella turba varia che passa, vivano secondo una norma di vita intieramente cristiana, o si ricordino, allora, di tante cose che la legge di Gesù Cristo vieta e d’un fine spirituale più importante di tutti quei piccoli interessi dell’attimo, la risposta che dovreste darvi sarebbe ben triste.
Ma più triste è il pensare che pochi, di tanta gente, sono quelli ai quali sia capitato di non entrar mai, o quasi, in una chiesa; e che coloro che ci entrano, che forse ci stavano un’ora innanzi, non ne hanno riportato con sè una parola che gettasse lo scompiglio in quelle anime futili, che facesse pullulare il dubbio in quelle coscienze vaghe ed addormentate, che imprimesse nelle testine volatili il pensiero di qualche cosa di imminente e di solenne nella vita, di grande, di divino, di eterno: il pensiero del vigile occhio di Dio.
Più vano poi sarebbe il chiedere a voi stesso se, dove la vita privata è siffatta, la religione si rifletta almeno nelle grandi manifestazioni collettive del pensiero del popolo; se cioè vi sieno de’ giorni sacri a grandi solennità sociali della religione; se i capi di questa dirigano efficacemente il pensiero sociale e morale di quel popolo, e via dicendo: nella vita pubblica non si osserva nemmeno più quello strano miscuglio di religioso e di pagano che fu di moda per tanto tempo; oggi tutto è scristianizzato; solo il giorno festivo rimane, non tanto per coloro che gli altri giorni lavorano, quanto per quelli che, oziando tutti i giorni, serbano per la festa i grandi modi speciali e collettivi di divertirsi oziando e di trovarsi associati nell’ozio.
Questi i fatti: ognuno che li osservi vedrà come oggi, dinanzi al catolicismo, una concezione tutta diversa e tutta pagana della vita si sia già foggiata a suo modo tutta una civiltà e come questa vada rapidissimamente allargandosi, mentre la vita cristiana sembra riescire a stento a contrastarle il terreno in poche coscienze isolate o nelle classi più umili e ne’ luoghi più lontani dalla vita moderna.
Ora, dire che questi fatti non sieno noti a tutti sarebbe negare agli uomini la facoltà di osservare e di discernere; dire che essi non si presentino oggi, agli occhi di molti, con una suggestione nuova, invitandoli a porsi una serie di domande importantissime, sarebbe disconoscere la crisi di questo momento storico che s'affanna a superare un lungo stato di coscienza e vuol sapere alfine se la religione debba essere definitivamente lasciata come forma inferiore di civiltà o se, accettandola, rielaborandone nel suo animo commosso i pensieri e le forme, la civiltà non le debba invece un ossequio che da molto tempo le nega.
Giacché la questione che noi ci siam fatta non è questione di anime spirituali o di asceti che veggano il male nel mondo e ne piangano, e non è neanche la condanna terribile pronunciata da san Paolo, in nome di una religione e di una civiltà nuova, contro la civiltà e il costume greco-latino; anzi, quel che ci occupa è proprio questo difetto di contrasti e questa penetrazione reciproca della religione in una società così pagana e della irreligione in una vita di cattolici così fiacca; ci occupa e ci affanna la debolezza di una coscienza cristiana che a pena ora sente di respirare un'atmosfera non sua e si scuote.
E noi vorremmo appunto, se la nostra parola non fosse così miserabilmente povera, scuotere ed eccitare la ribellione e la reazione delle coscienze cattoliche in nome del catolicismo, contro tutto quello che nella vita moderna è penetrato di così poco conforme ai loro domini e alla loro morale; noi vorremmo il giudizio etico del cristianesimo portato non più solo sui fatti della vita individuale, ma, audacemente, su tutte le manifestazioni della vita; vorremmo, infine, che nel seno stesso dell’attività intellettuale e sociale del tempo insorgesse una volta la coscienza nostra a riconoscere tutto quel che non è suo e spogliarsene, a meditare tutto quello che le conviene ed acquistarlo ed esprimerlo di nuovo da sé medesima, con consapevole sforzo, con docile sommissione all’impulso di una forza divina.
La nostra vita religiosa è malata, la nostra vita religiosa è in pericolo, si dice da molte parti: e si invoca il rifiorire, nei cattolici, di una fede più viva; il ritorno di anime vane e distratte alle pure scaturigini della vita interiore; una nuova espansione di spirito di carità e di sacrificio.
Ma, persuadiamoci bene che tutto ciò è poco utile e poco possibile sinché lo spettacolo della realtà non scuota le anime; sinché non cessi per molti l’illusione addormentatrice di vivere tra cristiani e in un mondo cristiano; sinché il distacco che ognuno deve compiere dentro sé stesso fra Dio e il mondo, tra la carne e lo spirito, tra satana e Cristo, non sia facilitato, come era ai principi del cristianesimo, dalla condanna forte e recisa di una civiltà pagana, dal contrasto violento di due opposte concezioni del mondo e della vita, dallo spirito di conquista religiosa e cristiana.
Questa grande trasformazione delle menti e del pensiero sociale preparerà e precipiterà quelle lente trasformazioni che la grazia va lavorando negli individui e che talora solo dopo lunghi anni portano i loro frutti pieni d’un sapore meraviglioso, e ravviverà la vita purificatrice del cattolicismo nella vita moderna.
Questo è il compito della serie di articoli che incomincio sulla vita cristiana di oggi: io dirò anche ora verità crude, come altra volta feci, ma più liberamente, perché questa volta non parlo del clero e di classi e di organizzazioni speciali; verità lungamente meditate e messe in pubblico solo per un desiderio intenso del cattolicismo e di giorni migliori per la Chiesa in Italia.
Ma, forse, anche questa volta non molti, forse solo i giovani volonterosi intenderanno le preoccupazioni che m’agitano; gli altri troveranno inutile e triste la querimonia.
E se lo faranno perché la loro formazione interiore è chiusa anche alle irrequietezze che nella nostra|fragile natura lascia, col desiderio d’una vita sempre più alta, la grazia, io non so che farci; se cercheranno dei motivi e dei pretesti intellettuali per rispondere, io son qua con essi a studiare.
Intanto, a me par certo questo: che se alla civiltà atea e pagana che la borghesia ha instaurato nella civiltà moderna, guadagnandosi arte, letteratura, industrie, tutto, e che dalla borghesia scende ora rapidissimamente al proletario per mezzo del socialismo, noi non opporremo, e subito, e con tutte le forze, una crociata per la vita cattolica e per una civiltà nostra, interamente nostra, una nuova bufera spaventosa passerà sui popoli d’Occidente, e sarà così fiera contro la religione cattolica che nessun Napoleone e nessun Concordato varrà poi a riordinare le sparse reliquie.
La Chiesa ripiglierebbe dopo le rovine imperturbata il suo cammino glorioso: ma noi? e le chiese e gli altari affidati a noi? e la nostra generazione?
[1] Settembre 1900.
[2] Il senso vivo del cristianesimo nell’arte s’è così smarrito che oggi, in questo ritorno di moda all’età preraffaellesca, sullo stile e sulla dolce e mesta espressione delle figure clie meglio espressero le divine gioie e tristezze del cristianesimo, si modellano sin le più scollacciate figure di quadri di réclame. I concorsi per quadri d’oggetto sacro, frequentemente ripetuti, ebbero tutti una fine miserrima e fecero proclamare in coro ai critici che il divino non è più nei nostri sentimenti e l’espressione di esso sfugge alle fantasie de’ nostri artisti.
Sezione non disponibile per motivi di copyright. Il testo diverrà di pubblico dominio solo a partire dall'aprile 2014.
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