ROMOLO MURRI
MEMORIA
presentata alla Giunta delle elezioni
1914
Dedico queste pagine, compilate a ricordo della lotta elettorale politica ultima, ai 5040 elettori che mi diedero il loro voto. E' un segno tenue della gratitudine che io ho, vivissima, per essi. E vorrebbe essere un conforto modestissimo, che procuro ad essi, il diritto dei quali ad avere il deputato che liberamente dessero fu offeso e violato dalla sopraffazione che queste pagine documentano; poiché essi avranno un qualche motivo di più di sperare che la lotta che conducemmo insieme e la nobilissima sconfitta non saranno così facilmente dimenticate e che qualcuno, leggendo oggi o più tardi queste pagine, rivolgerà ad essi un pensiero pieno di approvazione e di simpatia.
Approvazione e simpatia ben meritate. Poiché chi, conoscendo la nostra vita pubblica e le condizioni morali dell'Italia di oggi, leggerà questo documento non si meraviglierà delle cose che vi si narrano, né della capacità del clero ad andar così innanzi nel dispregio di ogni legge scritta ed umana nella lotta contro un uomo, né del cieco spirito settario di minuscoli partiti di estrema, né della mala fede del governo Giolitti, né del voto della Giunta delle elezioni, composta per due terzi di deputati eletti con il voto del clero e dipendenti perciò dalla Unione elettorale cattolica, né di quello che sarà domani il voto di una Camera che ha origini così incostituzionali ed illiberali; ma dovrà meravigliarsi del fatto che fra tante difficoltà, contro tanti avversari così ricchi di mezzi e così poveri di scrupoli, in un collegio rurale, dove i tre quarti degli elettori erano contadini analfabeti che per la prima volta si trovavano investiti del diritto di voto, io abbia potuto raccogliere più che 5000 voti; quanti non avevo mai osato sperarne, sostenendo senza denaro, senza aver mai lusingato ed avvinto a me gli elettori con i mezzi che comunemente si usano, una chiara ed audacissima lotta di idee.
Io ripenso ora a questa avventura politica con piena serenità d'animo. Debbo riconoscere e dichiarare che la prima, se non la maggiore, delle cause che indussero all'insuccesso fu il disgusto invincibile che, nella esperienza di una lunga legislatura, si era venuto impadronendo di me verso la nostra vita parlamentare, la maggior parte dei suoi uomini, i metodi con i quali essi cercano il successo, i costumi di servilismo politico e di complicità indegne ai quali porta la necessità pratica di coltivare il collegio e di avere dalla propria parte il prefetto ed il vescovo, le molteplici occasioni nelle quali, per non parere idealisti privi di ogni senso di .praticità e dt opportunità, si è costretti a far tacere le intime voci della coscienza, protestante contro atti di insincerità e di poca dignità, difformi da una concezione elevata e severa dell'ufficio e delle responsabilità dei rappresentanti del popolo, nel più alto e delicato potere dello Stato democratico.
Conviene confessarlo, e lo confesso senza nessun orgoglio, ma anzi con un senso vivo di umiliazione e di dolore per il mio paese: la vita parlamentare non è fatta per uomini che abbiano vivo il senso della dignità umana e della libertà e del dovere morale che non si scompagna da nessuna delle funzioni della vita sociale, ma che specialmente dovrebbe presiedere alla esplicazione delle più alte. Quelli che lo hanno non riescono senza il concorso di condizioni eccezionalmente favorevoli e, riusciti, sono più spesso le vittime che i condottieri della maggioranza parlamentare, che è, oggi e da molti anni, una maggioranza di servi corrotti e cattivi, preoccupati soprattutto di conservarsi i voti dei loro elettori e di influire sui poteri pubblici non a vantaggio del bene comune, ma a loro vantaggio.
Con questa consapevolezza non si mette in una lotta elettorale tutta la propria anima. E pure io ce la misi, ma solo quando, all'avvicinarsi della elezione, vidi con quanto disinteressato e meraviglioso fervore i miei amici, veduta delinearsi la posizione, ci mettessero la loro; poiché, da quel momento, lottare con tutto il vigore delle armi oneste che noi avevamo mi parve un dovere verso di essi. verso il mio programma politico, non attenuato mai, né alla Camera né nel collegio, verso la parte più sana del paese.
Non speravo nella vittoria. Sapevo, e lo avevo detto, che, in caso di ballottaggio — e questo, data la molteplicità delle candidature, era inevitabile — 100,000 lire e molte minaccie d'ira di Dio sarebbero bastate a trarre dalla massa grigia dei 12,000 analfabeti elettori nuovi quanti voti fossero necessari ad assicurare il successo; ma avvalorare quanto era possibile lo sforzo generoso dei miei amici, spingere gli avversari a compiere tutte, sino all'ultima, le ribalderie delle quali fossero capaci mi parevano risultati non ispregevoli.
Di queste ribalderie, l'ultima, e quella che ha richiesto maggior dose di malafede, è la giustificazione postuma tentata della loro lotta e il tentativo di disonorare la mia parte, esagerando sino all'inverosimile incidenti inevitabili e insignificanti. Pensavano di aver veramente bisogno di questa falsificazione postuma per esser sicuri dei voti dei «gentilonizzati» della Giunta? A ogni modo, essi hanno finito di documentare la loro gesta: e, dal punto di vista dello storico, possiamo esser loro grati.
Legga, chi avrà in mano queste pagine, e giudichi serenamente.
Romolo Murri.
L'elezione del collegio di Montegiorgio non può essere equamente valutata nellesue ragioni e nel suo svolgimento concreto se non la si colloca nel piano degli interessi che erano in giuoco e delle forze che concorsero a determinarne il risultato.
Da un tal punto di vista, il solo dal quale si possa vederla e considerarla nel suo insieme, apparisce subito che la lotta non fu competizione locale fra più candidati e le loro aderenze personali e le forze politiche che li sostenevano; ma fu invece voluta e preparata e condotta, contro l'on. Murri, dalla Chiesa e dal clero, per una rivincita di carattere religioso che interessava vivamente e sommamente tutto l'istituto ecclesiastico; e come, quindi, i fili conduttori ne vadano cercati a Roma prima e poi nella curia arcivescovile di Fermo, e nel collegio solo in quanto l'elemento rurale poté essere messo in moto e condotto alle urne da tutto il peso delle influenze e delle pressioni ecclesiastiche. Vedremo poi come la forza, insospettata prima, dell'avversario e il disegno di vincere a ogni costo costrinsero il clero a mettere da parte ogni scrupolo morale e riserva e ad agire con qualsiasi sorta di mezzi illeciti e disonesti, senza alcuna preoccupazione di altri risultati che non fossero quello di strappare comunque la vittoria.
I precedenti – Il Vaticano e l'on. Murri – La scomunica
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