ROMOLO MURRI
1922
Il problema politico, in Italia, è singolarmente complesso. La guerra, accelerando, dinanzi alle immani difficoltà accumulate, la decadenza del ceto politico dominante e, sotto la pressione della sua terribile disciplina, la formazione politica dei ceti minori, ne ha rivelato, non posto, i termini essenziali.
Per gran parte della nazione, la libertà era stata una avventura ed un dono, non una conquista. Lo Stato aveva l’ufficio, non solo e non tanto di governare, quanto di fare la nazione e la sua unità spirituale. Non ha saputo compierlo. L’istituto parlamentare, pur nella assenza di partiti politici nel paese, governò finché le diverse tendenze politiche ebbero uomini autorevoli, formatisi nelle lotte di pensiero e di azione per l’indipendenza. Poi, essi furono via via sostituiti da uomini minori, ligi al potere esecutivo, che ne preparava l’elezione con i favori amministrativi e, al bisogno, la assicurava con gli sfacciati interventi nella lotta elettorale. Così la carriera politica fu aperta agli animi servili o all’intrigo, chiusa ai liberi. Il potere politico, incapace di trarre a sé i ceti minori educandoli alla comprensione degli affari pubblici, alle responsabilità dell’autogoverno e alla lotta politica, cercò di accaparrare e sedurre le piccole minoranze che via via crescevano in potenza politica, largheggiando in riforme e in favori, ma provocando la diffidenza e le collere dei sopravvenienti, sempre più numerosi.
Dopo la guerra, noi abbiamo un ceto politico che non è più capace di governare e un ceto politico che non è ancora capace di governare. La rappresentanza proporzionale, rivoluzione parlamentare della quale pochi hanno ancora capito l’importanza, ha messo i due ceti l’uno contro l’altro. I socialisti, incerti fra l’intransigenza classista e la collaborazione, fra la dittatura del proletariato e la conquista legale del potere, rendono più aspri, astenendosi, i contrasti delle varie frazioni costituzionali: e queste sono troppo immerse nel senso degli interessi concreti dei vari ceti sociali, dai contadini alle banche, perché possano elevarsi alla visione di una politica superiore, veramente nazionale e pacificatrice.
Mai come oggi nuoce allo Stato, ed alla concezione che se ne fa la grande maggioranza degli italiani, quel certo machiavellismo grossolano e volgare che considera come estraneo ad esso quanto appartiene a campi e forme superiori dell’attività dello spirito: la religione, la morale, la cultura. La chiesa cattolica osteggia ancora i principi e lo spirito animatore delle libertà politiche e degli istituti democratici; essa non è quindi in grado di concorrere, con la sua autorità, ancora enorme, sulle coscienze, alla formazione dei cittadini; e il Partito Popolare è condannato, dalla duplicità iniziale di una autonomia politica rivendicata e di una soggezione religiosa che lo lega alla tradizione politica ecclesiastica, a trascurare, nel fatto, i valori dello spirito, per non suscitare diffidenze ecclesiastiche, e ad irretirsi nella politica parlamentare, nei contrasti di interessi, nella gara al numero elettorale.
Le pagine che seguono vogliono essere una reazione contro tale stato d’animi: una revisione critica delle dottrine e dei partiti politici, una visione dello Stato come spiritualità ed etica in atto, uno stimolo alla riconciliazione ideale degli istituti politici, nella sovranità della coscienza che si fa davvero capace di essere signora del suo mondo e delle sue creazioni sociali.
Conosciamo i difetti e le insufficienze dell’opera nostra; ma siamo certi di essere sulla via per la quale molti, tutta, anzi, una nuova generazione di dirigenti deve mettersi, perché l’Italia ritrovi la sua pace interna e la prosperità, e la democrazia si consolidi e si svolga.
Il presente volume risulta dai quattro fascicoli di Rinascimento pubblicati nel corso del 1921. Scritti quasi per intiero da una sola mano, intenti a un solo fine, quello di illuminare coscienze di concittadini nello sforzo per la conquista spirituale dello Stato, essi costituiscono una unità compatta ed organica, che ne giustifica la raccolta in volume.
Rinascimento continua, intanto, la sua campagna. Una visione idealistica della storia e dello Stato che ha avuto in Italia, nelle sue linee generali, assertori come B. Croce e G. Gentile, ha bisogno di essere saggiata e dispiegata e diffusa in una critica politica aderente agli avvenimenti, in un esame sereno e sincero degli ambienti spirituali italiani, in un tentativo di delineazione del metodo e degli scopi pratici di una azione pubblica che sia davvero rinnovatrice. Far ciò è il nostro immodesto ma disinteressato proposito.
Roma, 24 febbraio 1922.
ROMOLO MURRI.
Sezione non disponibile per motivi di copyright. Il testo diverrà di pubblico dominio solo a partire dall'aprile 2014.
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